Anatomia di una radio a 2,4 o 5Ghz
In questo articolo vorrei introdurre un argomento che per molti di noi radioamatori può sembrare sconcertante, ma che rappresenta lo stato dell’arte per queste frequenze.
Soprattutto i vecchi radioamatori sono abituati a considerare le SHF (in cui rientrano le bande dei 13 e 5 cm ovvero 2,4 e 5 Ghz) un campo di frequenze di uso estremamente difficoltoso e che richiama alla mente cose molto complesse come guide d’onda, circuiti meccanicamente complessi, dorature a destra e manca etc. etc.
In effetti se si prende un Radio Amateur Handbook di qualche decennio fa questo è il panorama che ne deriva 🙂 !!!!
In questi anni però molte cose sono cambiate e oggi il discorso è estremamente differente ed è quello che vorrei cercare di illustrarvi.
Molte delle complicazioni insite nell’uso delle frequenze SHF erano legate paradossalmente alla esigenza di collegare tra loro i componenti che erano necessari per costruire dei circuiti a quelle frequenze in quanto la piccola lunghezza d’onda rendeva ogni seppur breve collegamento un trasformatore di impedenza….
Come si è risolto il problema ? …. semplicemente rimuovendo tutte le connessioni !!!!!
O meglio riducendo a valori di pochi millesimi di millimetro le interconnessioni….. per fare questo si devono ovviamente sfruttare tecniche di realizzazione che sfruttano le tecnologie dello stato solido ovvero le stesse che servono per realizzare i transistor e i circuiti integrati.
Purtroppo le tecniche dei circuiti integrati hanno le loro limitazioni: mentre è semplicissimo realizzare componenti attivi quali ad es. i transistor, è molto più complesso realizzare componenti in passato banali quali ad es. i condensatori o le induttanze….
La soluzione è anche qui stata abbastanza semplice: cerchiamo di rimuovere completamente l’esigenza di questi componenti !!!!!
Il problema però era come fare…. 🙁
E’ venuta in soccorso la matematica che già nei decenni passati aveva dimostrato, senza però trovare molto uditorio…, che molte cose che si facevano nel campo della radio e del trattamento dei segnali utilizzando componenti quali condensatori, induttanze, etc. potevano essere realizzate semplicemente facendo dei calcoli matematici !!!!!
… e per fare dei calcoli basta avere un calcolatore 🙂
… e guarda caso un calcolatore si può fare usando solo transistori anche se a milionate….
Il problema però era come fare a passare dal mondo dei segnali, tensioni e correnti, al mondo dei numeri..…
E’ venuta in soccorso la fisica che grazie al famoso “teorema di Shannon” ha dimostrato che ogni segnale può essere ridotto ad una sequenza di numeri…. anche se ciò richiede una elevata velocità di lavoro.
Concettualmente è molto semplice: immaginiamo di avere un voltmetro e di misurare il valore del nostro segnale ogni pochi millisecondi o microsecondi…. se trascriviamo su un pezzo di carta i valori rilevati ci ritroviamo una lunga lista di numeri che rappresentano i valori misurati per quel segnale nel tempo…
Abbiamo realizzato quella che si chiama conversione analogico-digitale o in inglese ADC (Analog-Digital-Conversion).
A questo punto ovviamente diventa tutto semplice 🙂
I numeri ottenuti possono essere “processati” da un calcolatore con i metodi che la matematica aveva già in passato suggerito, fino ad ottenere delle nuove sequenze di numeri che rappresentano il segnale di uscita !!!!
A questo punto sorge un altro problema: mica posso mandare all’antenna dei numeri 🙁 ????
La soluzione è semplice: se immagino di avere un generatore di tensione e immagino di avere un ometto vicino alla manopola della tensione che velocissimamente legge la sequenza di numeri che rappresenta il segnale di uscita in modo da cambiare la tensione dell’alimentatore, sono riuscito a generare di nuovo un segnale elettrico che segue fedelmente la sequenza di numeri uscita dal processo dei segnali di ingresso 🙂
Ho realizzato quella che si chiama DAC ( Digital-Analog-Conversion) ovvero ho riconvertito in analogico i miei segnali che ora posso gestire finalmente come ho sempre fatto !
Come vedete la strada non è proprio breve… la domanda che sorge ovviamente è: ma chi me lo fa fare tutto questo casino ? ma vale proprio la pena ? era così bello saldare tra loro pochi componenti 🙂
La risposta è molto semplice: certamente se volessi fare tutto da solo non avrebbe alcun senso…. ma se per farlo sfruttassi cose che già esistono e che costano quasi niente ?????
Allora si che il discorso assume un altro aspetto: potrei scoprire che mi si apre tutto un nuovo mondo in cui posso fare cose che in passato neanche lontanamente si riuscivano ad immaginare e che invece ora diventano alla portata…..
E’ questo l’universo dei metodi “digitali” di comunicazione e di trattamento dei segnali !
Forse la chiacchierata è stata un poco lunga ma spero di avervi portati al punto: oggi nessuno si sogna più di fare una radio, soprattutto a queste frequenze, senza utilizzare tecniche digitali !
Ovviamente questo richiede un cambio di mentalità: passare dal collegare componenti fisici tra loro a collegare “pezzi di sistema” tra loro sfruttando strumenti SW (Software).
Se si perde da un lato il gusto di usare il saldatore, si acquista l’eccitazione di fare cose in passato inconcepibili 🙂
Per darvi un esempio di cosa contiene una radio per le SHF oggi vi riporto una foto di uno dei dispositivi che potremmo usare per la nostra sperimentazione.
Come vedete il connettore dell’antenna è saldato ad un piccolo circuito stampato su cui sono saldati pochissimi circuiti integrati al cui interno si trovano dei pezzetti di silicio che contengono milioni di transistors che realizzano il miracolo di cui parlavo sopra.
Le dimensioni del circuito sono scarso 2cmx10cm compresi i connettori N per l’antenna ed RJ45 per il cavo di rete di ingresso 🙂
Nella seconda immagine vedete un coperchietto metallico: comprende la vera e propria radio ( che è schermata).
Il resto dei circuiti sono tutta la parte di “calcolo”
In particolare sono presenti tutte le componenti di cui parlavo sopra e pure qualcosa in più…
Per vostra curiosità vi riporto lo schema interno semplificato dei blocchi funzionali presenti nel dispositivo.
Come potete vedere ci sono due circuiti integrati che realizzano il primo (AR9285) tutta la vera e propria parte radio, e il secondo (AR7240) la parte di “calcolo” e di interfacciamento con l’utilizzatore del dispositivo.
Come potete osservare il modo di rappresentare le funzioni è a “blocchi funzionali” ovvero si fa riferimento a della macrofunzioni evidenziando le connessioni tra le varie macrofunzioni presenti a livello di “interfacce”: questo consente di semplificare gli schemi evidenziando solo i concetti e lasciando i dettagli a degli ulteriori “livelli” di approfondimento.
Le interfacce sono in pratica un modo per specificare il modo in cui i vari blocchi funzionali si interconnettono, lasciando i dettagli di questi collegamenti a una serie di documenti che poi descrivono in dettaglio gli aspetti fisici e funzionali di questi collegamenti.
Come esempio di ulteriore livello di dettagli la figura successiva riporta la struttura interna della parte radio ( ovvero del chip AR9285).
Si possono notare le parti principali:
- Switch a RF TX-RX
- sintetizzatore di frequenze
- Ricevitore
- Trasmettitore
- Conversione ADC
- Conversione DAC
- MAC (Medium Access Control)
- interfaccia verso la parte processore
Ognuno di questi blocchetti a sua volta ha una sua struttura interna che realizza le varie funzioni in maniera dettagliata.
Tutti i chip sono realizzati sfruttando le cosiddette tecniche di “silicon compiler” ovvero di “compilazione su silicio”, che significa che, tramite dei SW di progettazione appositi che girano su delle potenti Wokstations vengono creati i vari blocchetti funzionali con i loro dettagli interni, collegando poi tra loro, sempre a livello di SW di progettazione, i vari blocchetti per produrre dei blocchi più grandi che infine danno luogo a dei veri e propri schemi circuitali ( con tanto di transistor, etc.) che vengono dati in pasto a delle macchine che realizzano fisicamente i pezzetti (chips) di silicio che realizzano i circuiti.
Questi pezzetti di silicio vengono poi racchiusi in dei contenitori di plastica o ceramica (in genere di dimensioni di pochi mm di lato e spessore anche inferiore al mm ) con una serie di contatti elettrici lungo la periferia che servono poi per collegare i vari chips tra loro su un circuito stampato.
Quella a lato è un esempio di circuito stampato sul quale è stato montato il chip radio AR9285: potete notare alla sommità dello stampato i due connettori di antenna e in basso a destra il quarzo che fa frullare il tutto.
Le dimensioni reali del chip radio sono 8×8 mm e il contenitore ha 68 piedini; se volete dare uno sguardo al data sheet ( cioè la specifica del chip) lo potete trovare in allegato a questo indirizzo .ar9285
Per quanto riguarda il secondo chip AR7240 il discorso è ancora più complesso in quanto questo chip contiene al suo interno un vero e proprio computer della famiglia MIPS k24 completo di una serie di interfacce sia di tipo Ethernet che di tip USB, oltre all’interfaccia verso la memoria RAM necessaria per il funzionamento del computer e la memoria FLASH che rappresenta la memoria di massa ( una specie di disco) del computer stesso.
Tutto questo è racchiuso in un componente di 14×14 mm con 168 piedini. Per vostra curiosità vi allego il datasheet del componente per lo sfizio di vedere come viene documentata questa roba: ar7242_datasheet
Il datasheet della parte radio invece lo trovate a questo indirizzo: ar_9280_datasheet
Ovviamente non pretendo che vi leggete i file che vi allego 🙂 … è giusto un modo per mostrarvi come oggi viene affrontata la materia ….
Ovviamente la prima reazione potrebbe essere: non sono cose alla mia portata 🙁 ….
… e invece il discorso è completamente diverso: grazie al modo in cui oggi girano le cose diventa estremamente semplice e alla portata di tutti utilizzare in maniera completa anche cose complessissime senza dover necessariamente conoscere tutti i dettagli e le complessità degli oggetti che vogliamo usare.
Grazie alla “stratificazione” degli oggetti e delle applicazioni ognuno ha bisogno di andare alla profondità che gli serve per quello che deve fare…
Per chi vuole per esempio fare una rete MESH non è assolutamente necessario andare ad alcun livello di dettagli… ma basta “semplicemente” indirizzarsi alle funzionalità di alto livello per poter ottenere i propri obiettivi.
In un successivo articolo cercherò di affrontare proprio questo ultimo discorso: ovvero come oggi si affronta un tema tipo quello che ci siamo prefisso delle reti mesh, sfruttando la componentistica a disposizione sul mercato e pensata per tutta una serie di altre applicazioni, non necessariamente per la nostra applicazione MESH.
Articolo molto interessante ed utile e da approfondire.
resto sempre piu’ affascinato a questo mondo che ci stai facendo scoprire e, anche se spaesato causa l’ignoranza, mi rinfranco quando alla fine dici: “tutto è alla portata di tutti”
tutto interessante,da parte di Nereo-ti ringrazio Mike-e alla prossima
per la realizzazione del progetto-Saluti a tutti Nereo
Il metodo divulgativo che usi è molto fluido e per niente noioso.
Capire sembra molto facile e piacevole,ma mi rimane il dubbio che
tra IL DIRE e il FARE non ci sia di MEZZO li MALE ,comunque Ti
seguo con piacere e complimenti .